Giuseppe Dacquì, Delitti contro la persona. Richiesta di modifica della misura cautelare – Inammissibilità per difetto di notifica alla persona offesa

La dichiarazione d’inammissibilità dell’istanza dei difensori di Giuseppe Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, per difetto della notifica alle persone offese, offre alcuni spunti di riflessione sulla novella legislativa introdotta con il D.L. 14 agosto 2013 n.93 convertito nella legge 15 ottobre 2013 n.119.

La norma che qui interessa è l’art. 299, commi 2 bis e 3 cpp. Il legislatore ha previsto che i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa.
Ha previsto, altresì, che il pubblico ministero e l’imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282 bis, 282 ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis dell’articolo 299 c.p.p., che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
Il mancato adempimento della notifica dell’istanza, da parte dei richiedenti, comporta, dunque, la dichiarazione dell’inammissibilità della stessa. La necessità di prevedere tale adempimento appare assolutamente superfluo poiché certamente è sfuggito al legislatore che il giudice con il provvedimento che dispone l’allontanamento prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza la sua autorizzazione. Ed ancora, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso può prescrivere le relative modalità e può imporre limitazioni (art. 282 bis c.p.p.). Il giudice può anche disporre il divieto di avvicinamento a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone; può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone offese. Ma ciò che più fa ritenere veramente immotivata la disposizione legislativa in commento è l’art. 282 quater c.p.p. che impone la comunicazione alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio in caso di applicazione dei provvedimenti di allontanamento della casa familiare o di divieto di avvicinamento nei luoghi frequentati dalla persona offesa.
Senza in alcun modo voler entrare, in maniera approfondita, nel merito della volontà del nostro legislatore che ha voluto estendere l’obbligo della notifica a tutti i procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona (e non limitandoli, come era nelle prime intenzioni alla sola sfera dei delitti commessi in ambito affettivo o familiare)[1], occorre mettere in evidenza alcuna lacune che presenta la norma. Quid iuris se la misura cautelare non è immediatamente notificata, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa?
Quid iuris se il giudice decide sull’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare in difetto della notifica alla persona offesa?
Su entrambe le questioni la norma tace. Si dovrebbe allora ricavare la soluzione da un’interpretazione sistematica del codice di rito. La custodia cautelare, è noto, perde immediatamente efficacia se il giudice non procede all’interrogatorio entro il termine di cinque o di dieci giorni a seconda il tipo di misura applicata (art. 302 c.p.p.). L’ordinanza che dispone la misura cautelare è nulla se non contiene quanto indicato nei commi 2, 2 ter c.p.p. (generalità dell’imputato, descrizione sommaria del fatto, esposizione specifica delle esigenze cautelari e degli indizi, ecc.). La custodia cautelare perde altresì efficacia per effetto della pronuncia di determinate sentenze (art. 300 c.p.p.) e per la decorrenza dei termini di durata massima.
Nulla, quindi, è previsto in tali disposizioni in caso di inottemperanza all’obbligo di notifica alla persona offesa dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Di talchè lo sguardo dovrà essere rivolto al regime delle nullità. 
La patologia concernente l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del processo penale è disciplinata dagli artt. 177 e segg. del codice di rito. E poiché il principio cardine è quello della tassatività della nullità non si riscontra nelle nullità di ordine generale il caso oggetto della presente nota. Invero, la mancata notifica alla persona offesa non può farsi rientrare in alcun modo nell’ambito dell’ipotesi di cui alla lettera c) dell’art. 178 c.p.p., poiché il campo è assolutamente limitato all’intervento, all’assistenza dell’imputato e delle altre parti private nonché alla citazione in giudizio della persona al reato e del querelante. Se così è, nessuna tutela è stata predisposta dal legislatore nel caso in cui il giudice revochi o modifichi la misura cautelare senza che la persona offesa sia stata avvertita così come efficace rimarrà la misura cautelare in difetto di comunicazione alla stessa della sua applicazione all’indagato ritenuto responsabile di delitti contro la persona.

 

Avv. Giuseppe Dacquì, settembre 2014

 


[1] cfr. per un approfondimento in tal senso cfr. HERVE’ BELLUTA, revoca o sostituzione di misura cautelare e limiti al coinvolgimento della vittima, in http://www.penalecontemporaneo.it
 
 
Pubblicato su http://www.penale.it
 

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