« Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur, ubi paululum ascenderis ad laevam, circiter duodecim pedes humi depressus. Eum muniunt undique parietes atque insuper camera lapideis fornicibus iuncta; sed incultu, tenebris, odore foeda atque terribilis eius facies est. » Gaio Sallustio Crispo nel De Catilinae coniuratione.
“Che quando per il potere vi sia stata battaglia, i vincitori usurpano il governo dello Stato con tanta forza da non lasciare la minima parte di potere ai vinti, né ad essi né ai loro discendenti; e gli uni e gli altri vivono reciprocamente spiandosi, per paura che qualcuno giunga al potere, rivoltandosi contro, memore dei torti subiti in passato. Questi, noi dichiariamo, non sono governi politici, né sono leggi sul serio quelle che non sono state istituite nel comune interesse di tutto lo Stato: e, se istituite nell’interesse di alcuni, noi affermiamo che costoro sono uomini di parte e non cittadini, e che il loro preteso diritto altro non è che vana parola.” (Platone, Le Leggi – Libro IV^)
Il sovraffollamento delle carceri è un’emergenza (tra le tante) che affligge il pianeta giustizia e su cui il legislatore non pare volgere particolare attenzione; eppure l’emergenza non è nuova.
Una sottovalutazione e un’indifferenza che aumentano l’indignazione nei confronti di un Paese che spesso si vanta (senza esserlo) di tutelare i diritti fondamentali dell’umanità. Le distonie della giustizia italiana sono tante ed enormi.
Il carcere come luogo di espiazione di pena o piuttosto come luogo di tortura? Nell’antica Roma il carcere chiamato “Tullianum” era un angusto locale malsano ove l’accusato era legato a ceppi o ferri. Prigioni buie ricavate nelle viscere della terra, persone vive che venivano sotterrate in attesa di un processo o dell’esecuzione.
Rispetto a ieri notevoli passi in avanti sono stati fatti e gli attuali principi legislativi sono dettati da quelli universali di difesa della dignità della persona. Certo ancora molto resta da fare. C’è da chiedersi intanto se le nostre strutture carcerarie anche le più nuove (non certo le più moderne) siano a norma e pari a quelle europee. Il carcere oggi dovrebbe essere improntato ai principi costituzionali e alla legge speciale in materia che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo e che sanciscono che il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità assicurando il rispetto delle dignità della persona.
Ma il numero dei suicidi avvenuti nell’ultimo decennio è di circa settecento mentre i morti in carcere sono stati complessivamente circa duemila.
Anni
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Suicidi
|
Totale morti
|
2000
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61
|
165
|
2001
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69
|
177
|
2002
|
52
|
160
|
2003
|
56
|
157
|
2004
|
52
|
156
|
2005
|
57
|
172
|
2006
|
50
|
134
|
2007
|
45
|
123
|
2008
|
46
|
142
|
2009
|
72
|
177
|
2010
|
66
|
184
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2011*
|
54
|
155
|
Totale
|
680
|
1.902
|
* Aggiornamento al 28 ottobre 2011
Al 31 Agosto scorso il numero dei detenuti era di 67.104 su una capienza regolamentare di 45.647. Un esubero di oltre ventimila persone costrette a vivere (rectius: sopravvivere), in condizioni disumane, in pochi metri quadrati. Il miglioramento relativo all’aereazione delle celle, ai servizi igienici, alle docce, ai colloqui con i familiari, alle telefonate, alla corrispondenza epistolare, all’apertura dei blindati anche nelle ore notturne, alla conservazione degli alimenti, non costituisce forse un obiettivo minimo che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria deve perseguire? Ai forcaioli di turno, che si aggirano attorno alla giustizia, è obbligo chiedere che ne è del principio di non colpevolezza fino a condanna definitiva se i detenuti in stato di custodia cautelare sfiorano le 30 mila unità? Che ne è della legge svuota carceri, considerato che appena 3 mila detenuti ne hanno beneficiato? Che ne è della carenza del personale (agenti, educatori, psicologici, magistrati, ecc..)? E i detenuti malati, le cui gravi patologie spesso vengono ritenute compatibili con il regime carcerario, come vengono curati? Queste le domande: vorremmo augurarci che le risposte arrivino prima della stagione delle piogge e degli uragani che di regola non danno scampo.
Giuseppe DACQUI’
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